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Category: 2011, ARTISTI, Uncategorized by • apr 2nd, 2012
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Mario Mattioda

Mario Mattioda

ha partecipato al FESTIVAL 02 CREAZIONI organizzando le Keynote delle CONFERENZE WORK in Project

Dopo un percorso di studi psicologici e psicoanalitici, Mario Mattioda, inizia ad occuparsi di Interaction design nel 1992, come analista presso lo studio di progettazione interattiva MiLàNo. Negli anni successivi lavora alla progettazione di un sistema informativo per la psichiatria ed è co-autore di un manuale di usabilità. Dal 2003 al 2005, come consulente presso l’Interaction Design Institute Ivrea (IDII), organizza seminari e convegni di filosofia e design ed è co-autore di diverse pubblicazioni su temi metodologici e di valutazione dei progetti (ID Almanacchi, Practice and Theories in Interaction Design, Conversazione Sottsass /De Lucchi). Nei due anni successivi, come curatore della Limehouse Arts Foundation di Londra, organizza installazioni di arte contemporanea a sfondo sociale, tra le quali Tupac Project di Paolo Chiasera. Nel 2008 svolge attività di coordinamento didattico per il corso Index, presso la Facoltà di Architettura di Alghero e nel 2010 è curatore e co-autore del libro Index-Interaction Design Experience.

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ecco le KEYNOTE organizzate da Mario Mattioda nella strutturazione del percorso WORK inPROJECTS:

Quale condizione viviamo oggi, circondati da tecnologie che non si offrono più come strumenti, ma si configurano come “ambienti”, influenzando profondamente la nostra vita, il nostro comportamento, la nostra percezione del mondo?

Continuerà la tecnologia a ridefinire la natura, facendola evolvere, o più forte sarà il rischio dell’imponderabile, già evidente negli sconvolgimenti naturali, nei disastri ecologici, nei fantasmi della clonazione?

Il pensiero ecologico è condannato ad assestarsi su posizioni sempre più conservatrici, o possiamo immaginare nuove alleanze tra natura e tecnologia in grado di fornire un habitat al nostro esistere tecnologicamente modificato?

Queste e altre le considerazioni che il progetto Open-Lab intende affrontare, mettendo a confronto filosofi, psicologi, designer ed artisti, per riaccendere il dibattito su tecnica e natura e coniugarlo con le forme di progettazione e di creatività emergenti.

L’intenzione è infatti quella di ancorare la tematica ecologico – tecnologica alla ricerca artistica contemporanea e alle pratiche dell’Interaction Design, ri – direzionando i concetti stessi di creatività e di progettualità. Come si riconfigurano infatti le attuali capacità progettuali e creative? Da quali saperi originano e in quali circostanze si sviluppano? Come possono continuare a garantire una produzione di senso?

Di seguito i suoi appunti sul primo incontro del 4 maggio:

Gianni Vattimo: “Creatività, tecnologia, comunicazione: dall’opera all’evento”

Vattimo ha sostenuto la tesi secondo cui la produzione artistica contemporanea, realizzando più eventi che opere, orienta la creatività verso un’arte che ha da fare con la vita sociale. E ciò suscita un sentimento del bello – già tematizzato nella riflessioni di Kant contenute nella “Critica del Giudizio”- caratterizzato dal poter essere comunicato e condiviso. Una tendenza di rigetto della funzione decorativa dell’arte che, se da un lato è condizionata dalla tecnologia, dall’altro segue un processo che inizia con la “Fontana” di Marcel Duchamp. Vattimo ha segnalato infatti come la cultura del Novecento nutra un’insofferenza per la tradizione artistica precedente e ha individuato il senso dell’evento – un accadimento che rappresenta un sentimento di comunità – proprio nell’estremizzazione del rifiuto dell’oggetto bello. Vattimo ha ricordato al riguardo come già Walter Benjamin nell’ “Opera d’Arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” avesse riflettuto sul valore espositivo dell’opera d’arte: è questo il valore che l’opera assume nella modernità grazie agli strumenti di riproduzione meccanica che la rendono accessibile a tutti in ogni momento e in ogni luogo. Inoltre, sempre secondo Benjamin il prodotto artistico accoglie quel sentire dell’uomo moderno di fronte ad una cultura che andava perdendo l’istanza di ‘totalità’ in virtù di una auspicabile diffusione democratica del sapere. Un nesso, una corrispondenza dunque tra arte e società che si estende anche alla produzione architettonica e a quella degli oggetti di design ed apre all’interrogativo di come progettare  interagendo con gli utenti.

Giorgio De Michelis  “La Sostenibilità delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione”

L’intervento ha affrontato la questione della sostenibilità ambientale e i modi per poterla introdurre in un progetto. Per De Michelis si danno tre possibilità: infatti la questione ecologica può avere, nell’ambito delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (ICT):

  • un’ispirazione ideologica – si progettano solo cose ambientalmente buone, senza una esatta consapevolezza, neppure da parte degli stessi ambientalisti, di cos’è buono e cos’è cattivo, intrinsecamente al progetto.
  • Un’ispirazione opportunistica (o furba): si difende ad esempio l’orso bianco, destinando il 2% del prezzo di un prodotto (che può essere una nefandezza dal punto di vista ambientale) alla difesa della sua conservazione. Oppure, com’è nel caso della Microsoft, si produce una tecnologia che crea ricchezza per finanziare una fondazione dedicata alla ricerca su temi relativi alle problematiche del terzo mondo.
  • Un’ispirazione problematica. Che cosa si intende quando si vuole adottare una prospettiva problematica sulle relazioni tra  ICT ed ecologia? In primo luogo, che la qualità ecologica non va considerata come qualche cosa da aggiungere alle tecnologie, ma che ci interessa che essa scaturisca dal modo stesso in cui noi sviluppiamo l’innovazione tecnologica e la diffondiamo nel mondo.

Allora, in primo luogo va detto che la questione ecologica deve essere declinata in termini di sostenibilità; in secondo luogo, che il discorso deve coniugare sostenibilità ambientale e sostenibilità sociale; e, in terzo luogo, che tra i tanti stakeholders che gravitano intorno la progetto, vanno considerate anche le generazioni future. E per far ciò è necessario cambiare il modo con cui si progetta le ICT, adottando un approccio di people-centred computing e di interaction design.

Stefano Mirti “La tecnologia è la risposta. Qual era la domanda?”

Nella sua relazione, Mirti ha presentato un ricco repertorio di progetti – selezionati a partire da suoi personali interessi e conoscenze e proposti in assenza di criteri di organizzazione o di classificazione -  in cui sono declinati in modi diversi elementi di design, tecnologia e interazione. Altrettanto ricca la lista delle tipologie di interazione, che hanno riguardato interscambi tra uomo e uomo, tra uomo e macchina, tra uomo e natura, tra uomo e altre entità che possono essere fisiche, concettuali, ecc. Una collezione dunque di notevole interesse incentrata sul modo in cui gli uomini agiscono in modi non dissimili dai nostri e dove le differenze progettuali riguardano principalmente la diversità dei luoghi e dei periodi storici di produzione.

Ciò che invece sembra mutato nella contemporaneità è, secondo Mirti, il rapporto tra tecnologia e progetto. Oggi abbiamo un surplus di tecnologia, cui siamo chiamati ad assegnare un significato: abbiamo cioè più risposte che domande e questo è uno dei cambi di paradigma che accompagnano il passaggio al virtuale.

 

 

 

 

 

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